Comunicare la maternità al datore di lavoro

Datore, lavoro, maternità: tre parole chiave che descrivono problematiche burocratiche, ma anche possibile stato d’ansia, relative alle donne che aspettano un bambino. Infatti per chi è in gravidanza e lavora, il primo step è senza dubbio comunicare la maternità al datore di lavoro. Questo genera le prime domande e stress nelle future mamme: la paura di doverlo dire al proprio capo, quando farlo e che tutele si hanno.

Quando e come
comunicare la maternità al datore di lavoro?


Prima di tutto è necessario precisare come non sia obbligatorio informare il proprio capo per attivare il divieto di licenziamento, ma non si può usufruire di altri importanti vantaggi senza averlo fatto. Spesso nei forum si leggono domande di donne che vorrebbero tenere nascosto il loro stato e si interrogano su come poterlo fare, questione in effetti difficile viste le ovvie conseguenze fisiche che una gravidanza ha nel corpo di una donna. Appare quindi evidente la paura di poter perdere il posto di lavoro, anche se infondata per legge. Anzi, è proprio dal momento della comunicazione che a tutti gli effetti si è certi di essere tutelati dai diritti che la legge riserva in termini economici e di sicurezza alle donne in gravidanza, maternità ed allattamento, anche se in materia di licenziamento è sufficiente per legge essere in stato di gravidanza. La risposta al primo quesito diventa quindi scontata: il datore di lavoro va informato il prima possibile e sicuramente prima dell’inizio del congedo di maternità, non solo per correttezza, ma anche per poter beneficiare dei vantaggi legati alla situazione specifica. Si può avvisare il capo verbalmente, tuttavia per avere certezza assoluta è meglio farlo tramite una raccomandata con ricevuta di ritorno, precisando data e motivazione, oltra alla data del congedo di maternità, allegando un certificato di gravidanza.
Anche alle collaboratrici coordinate e continuative viene riconosciuto il diritto alla maternità: l’ultima legge ha infatti appianato le profonde differenze rispetto ad altre tipologie di contratto, a determinate condizioni verificabili presso i sindacati. In questo caso le Co.Co.Co. iscritte al “Fondo INPS Gestione separata 10-14%” hanno diritto ai 5 mesi di congedo di maternità ed alle relative indennità.
Diverso è il caso di chi è in cerca di lavoro: la donna in gravidanza non è tenuta a comunicare il proprio stato durante il colloquio di selezione o assunzione, neppure nel caso di contratti a tempo determinato e qualora l’astensione obbligatoria venisse a coprire gran parte della durata del lavoro. La donna non deve essere discriminata per lo stato di gravidanza all’atto dell’assunzione e l’eventuale accertamento del datore di lavoro è una violazione della legge. Ovviamente le mansioni più pesanti dovranno essere cambiate durante il periodo previsto dalla legge.
Un caso è però di difficile lettura, ossia il licenziamento durante periodo di prova. Dopo aver avvisato il datore di lavoro dello stato di gravidanza, la lavoratrice in periodo di prova è comunque licenziabile. La tutela prevede che la motivazione sul giudizio negativo sia spiegata in modo dettagliato e ovviamente non sia dovuto alla gravidanza, ma in questo caso appare possibile eludere la legge trovando alcuni pretesti, per quanto debbano comunque essere veritieri. Se l’interruzione avviene durante il periodo di astensione obbligatoria o anticipata, la lavoratrice in prova ha comunque diritto all’indennità di maternità per l’pintero periodo.

Paura di dirlo al capo? No!


Visto quanto analizzato, le future mamme si tranquilizzino: è importante avvisare il datore di lavoro, ma le tutele sono molte sia in norma di sicurezza e carico di lavoro, sia sull’impossibilità di licenziamento dall’inizio della gravidanza al compimento del primo anno del nascituro; tale divieto opera fino fino al termine del periodo di astensione obbligatoria. Al termine dell’astensione dal lavoro le lavoratrici hanno il diritto anche al reintegro nella stessa unità operativa con le medesime mansioni pre-assenza, salvo ovviamente a rinunce spontanee, rimanendo in tale posizione fino al termine già citato del compimento di un anno di età del bambino.
Tecnicamente si potrebbe tenere il datore di lavoro all’oscuro di tutto, ma appare una pratica senza senso visto il mancato rischio di perdere il lavoro e i vantaggi ottenibili a fini previdenziali, di maternità, di sicurezza e di alleggerimento nelle mansioni. Con riferimento a ques’ultimo caso, il datore di lavoro è obbligato a verificare, sentendo il parere del medico, se le mansioni o l’orario siano potenzialmente a rischio per la gravidanza, modificando temporaneamente orario e/o condizioni di lavoro. Se questo non fosse possibile, la donna in gravidanza può essere allontanata (informando per iscritto la Direzione Provinciale del Lavoro): la lavoratrice ha comunque diritto alla retribuzione normale, sia in caso di allontanamento, sia in caso di mansioni o orario inferiori.
I casi in cui il licenziamento può aver luogo è relativo alle situazioni più serie valide per qualsiasi lavoratore: in caso di colpa grave o giusta causa (gravidanza e maternità non lo sono), prova con esito negativo e ovviamente casi più generici come cessazione dell’azienda o scadenza del contratto. Tutte fattispecie che opererebbero anche in caso di non gravidanza.
E’ quindi conveniente avvisare il datore di lavoro sempre, non solo per correttezza o egoisticamente per i vantaggi, ma per la salute e tutela del bambino.

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